Pillole DAC (Dipartimento Attività Culturali - FIAF)
a cura del direttore del DAC Giancarlo Torresani B.F.I. ESFIAP
DIPARTIMENTO ATTIVITA' CULTURALI
Il Dipartimento Attività Culturali (DAC) si propone come ambiente culturale di riferimento della FIAF. E' una struttura con
scopi essenzialmente didattici e formativi che assolve i seguenti compiti:
a) prepara ed orienta i "Docenti" ed i "Collaboratori" nella produzione e divulgazione dei servizi
b) abilita i "Giurati dei Concorsi FIAF" per mezzo di "Corsi" e "Seminari di lettura e valutazione della fotografia"
c) mette a disposizione dei Circoli: conferenze, workshop, seminari, stage, pubblicazioni ecc.
d) promuove il collezionismo delle fotografie di Autori FIAF, soprattutto, attraverso l'attività della "Mail Art"
DAC: le vostre richieste, i nostri obiettivi
Il Dipartimento, intende fornire, su richiesta delle Associazioni Fotografiche o dei singoli affiliati alla FIAF, servizi
e proposte culturali mirati ad evidenziare le grandi possibilità espressive del "linguaggio fotografia", aperto anche a nuovi
settori come quello del "digitale".
Ogni proposta tende a fornire collaborazione ai Circoli anche nella formazione dei giovani e nel dare a tutti la coscienza
serena di aver trovato, nella FIAF riferimenti e guide sicure, con particolare attenzione a quelle aree dove la presenza dei
Circoli FIAF è minore.
Per perseguire queste finalità, il Dipartimento affida, ai "Docenti DAC" ed ai "Collaboratori" accreditati, il compito di
recepire le esigenze di carattere culturale dei Circoli affiliati, di soddisfare alle rispettive richieste di interventi di
natura didattica proponendo argomenti e temi di specifica competenza individuale, con particolare attenzione nei confronti
di chi, pur avendo la volontà, non ha idee od opportunità di informazioni.
Ai fini di una maggiore promozione dell'operato FIAF, rivestono notevole importanza anche i rapporti culturali che
il Dipartimento intrattiene con l'esterno, soprattutto i rapporti personali tra operatori DAC e personalità o Enti ed
Istituzioni italiane ed estere. È previsto anche un ampliamento del numero dei "Docenti" e dei "Collaboratori" per favorirne
una migliore distribuzione sul territorio.
Affinché i servizi del DAC siano il più possibile aderenti alle esigenze, è necessario che i Circoli sentano il dovere e il
diritto di "richiedere" quanto ritengono indispensabile che debba essere fatto per i loro soci.
È possibile che l'elenco di proposte risulti ancora insufficiente, è comunque nelle intenzioni del Dipartimento aggiornare
e migliorare ulteriormente l'offerta.
I servizi DAC non hanno alcun costo per i Circoli che ne fanno richiesta, al di fuori dei rimborsi spese dei relatori
invitati (viaggio, vitto, alloggio, spese postali, eventuali materiali didattici che si rendessero necessari di volta in volta).
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FOTOCALEIDOSCOPIO
riflessioni DAC sulla fotografia
PILLOLE DAC
La fotografia d’arte
Il bello fotografico
La composizione in fotografia
Il documento in fotografia
Il documento interpretato in fotografia
Il realismo fotografico
Il racconto fotografico
Il processo della visione
L’occhio e la fotocamera
CALEIDOSCOPIO
breve guida alle definizioni celebri della fotografia
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FOTOCALEIDOSCOPIO riflessioni DAC sulla fotografia
Viviamo nella civiltà delle immagini; la cultura dell’uomo medio, di
tutti i giorni, si forma attraverso la lettura delle riviste a grande tiratura.
Il nostro occhio, di conseguenza, ha trovato un’altra dimensione figurativa, oltre quella offerta tradizionalmente dalla pittura e dalle
arti visive: “la fotografia – come avvertiva Ennio Flaiano – adesso si fa leggere, più che guardare”.
Fra “guardare” e “leggere”, vi è una certa differenza.
Si può leggere una fotografia anche senza accorgersene, tanto è vero che
noi assimiliamo, proprio senza saperlo, la cultura e l’educazione della nostra epoca attraverso le immagini.
Non dobbiamo dimenticare che viviamo in un’epoca dominata dalla
“fretta”, dove la parola scritta sta per essere soppiantata sempre più
dall’immagine fotografica.
E’ comunque nostra convinzione non trascurare la parola scritta ma, alla
luce di questo grande cambiamento, risulta necessario approfondire - e
divulgare (DAC) - meglio le caratteristiche estetico-espressive specifiche del linguaggio fotografia.
Al di là del suo semplice valore di informazione o del suo valore
artistico limitato a pochi intenditori e a pochi specializzati.
Assistiamo ad un fenomeno di assimilazione generale del prodotto
cinematografico difficile e intellettualistico.
Sono cambiate molte cose. Si legge di più, anche se lo si fa più in fretta.
Si vede molto di più. La televisione ha insegnato (e condizionato) a guardare “qualcosa”.
Ha (purtroppo) uniformato il gusto dello spettatore video-dipendente medio.
Sulla traccia di queste semplici riflessioni - fatte sulle nostri
condizioni culturali - cercherò di proporvi qualche nota, serena e
possibilmente obbiettiva, sulla fotografia, sperando che ciò non possa
dispiacere a qualcuno. Viviamo nella civiltà delle immagini: questo
potrebbe essere un “mattoncino” – uno dei tanti – necessario a costruire
l’edificio della cultura fotografica.
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PILLOLA 1: La fotografia d’arte
Fra i primi fotografi c’erano diversi pittori.
Furono questi a dare una patente di nobile bellezza alla fotografia,
considerata dai più soltanto come un fenomeno da baraccone, come una
novità sensazionale ma meccanica e “buffa”.
Questa serietà dei fotografi-pittori è stata determinante per la
considerazione della fotografia come prodotto artistico (magari in modo
esagerato) che, a volte, ha finito con il trascurare le finalità
documentarie della fotografia.
Come si guarda, oggi, la fotografia d’arte? Qualche consiglio:
• Non pretendere (dalla fotografia di intenti artistici) ciò che essa
non potrà dare. Chi fotografa (con grande impegno) “nature morte” non
potrà - nella maggior parte dei casi - dare buoni risultati nelle
immagini di cronaca, nei tentativi di interpretazione realistica della
vita di ogni giorno. La botte dà il vino che ha.
Questo atto di umiltà estetica gioverà enormemente a chi, per parte sua,
vorrà accingersi a fotografare.
• In altri termini, è importante imparare a conoscersi.
Imparare a fotografare ciò che ci sta più a cuore, senza rincorrere
“modelli” correnti.
Imparare a non fare ciò che piace agli amici del Circolo, ma riprendere
ciò che si vuole e “come” si vuole, cercando di dare alla realtà un
giudizio obiettivo, e non influenzato dalla “cultura” altrui.
• La tecnica è molto, ma non basta. Così come non basta essere
professori di belle lettere per scrivere bene.
Con questo non dobbiamo rifuggire dalla tecnica, ma non dobbiamo neppure
circondarla d’un culto smodato.
Assimilarla – con tenacia e amore – per poi usarla funzionalmente. Non è
importante il “cosa” si fotografa, ma il “come”.
La carica espressiva di un’immagine non sta soltanto nel “fatto bene”,
cioè nella tecnica perfetta, ma nella maniera più congeniale di
adattarla alla propria fantasia.
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PILLOLA 2: Il bello fotografico
Il motto popolare “piace a me, piace a tutti”, non deve essere
adottato completo giudizio critico, e neppure deve essere assunto a
dimostrazione di un gusto buono per il singolo, e quindi passabile al
vaglio dell’attenzione estetica.
In parole povere: il fatto che “piace a me”, ciò che ho fotografato, non
significa che sia valido per tutti.
La bellezza delle immagini di Stieglitz può forse essere messa in
discussione? Stieglitz perseguiva uno stile classico, si poneva al di
sopra delle mode e andava al nocciolo della sintesi espressiva.
Nei ritratti, nelle scene realistiche, egli ha sempre dimostrato che
l’arte fotografica (al pari delle altre arti) è sintesi, è classicità.
Stieglitz “toglieva” più che “aggiungere”. Di una scena, dava l’impronta
più scarnificata. Non poneva particolari superflui. Così, in poesia, i
versi di un Cardarelli sono nitidi e puri, nella loro apparenza
prosatica.
Qualche consiglio utile per una classicità del bello in fotografia:
• Studiare l’oggetto prima di fotografarlo.
• Al soprassalto del “mi piace”, reagire razionalmente.
• Chiedersi (sempre) “perché mi piace?”. Mi piace perché l’ha già
fotografato Tizio, o perché mi parla davvero in termini emotivi?
• Il “mi piace” non basta. (Tutti ci sentiamo poeti delicati e
sensibili, ma pochi tra noi sanno fare vera poesia).
• Occorre “saper vedere”. Sosteneva Helen Keller “La peggior disgrazia è
avere gli occhi e non vedere”.
• Occorre un gusto sorvegliato. Un’educazione visiva non comune, nata
dallo studio delle migliori fotografie, di ieri e di oggi.
• Occorre una personalità che, se grezza si può raffinare, se sbagliata
correggere, ma che, se inconsistente, assolutamente non è possibile
costruire o inventare da un giorno all’altro.
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PILLOLA 3: La composizione in fotografia
Molti sono i testi che insegnano “a ben comporre” una
immagine fotografica. Sono volumi molto interessanti e lodevoli che
hanno la funzione di una “buona grammatica”.
Tutti possono consultarli ( e fanno bene) perché dalle buone esperienze
altrui c’è sempre qualcosa da imparare.
Tuttavia teniamo presente il seguente fenomeno:
“Esistono, in vendita, manuali che insegnano a dipingere ?”.
Oggi se ne scrivono ben pochi. E perché?
Perché ci sono le Accademie e le Scuole che insegnano a dipingere.
Così come per i fotografi ci sono le Scuole e i Circoli FIAF (DAC).
Come in molti altri campi, pensiamo che una lunga pratica possa supplire
alle deficienze tecniche di un fotografo.
Avete mai provato a fotografare lo stesso soggetto in maniere
differenti, per es. da dieci punti di vista diversi?
Bene, questa si chiama “composizione”.
Avete composto la foto in dieci maniere distinte.
Sta a voi decidere qual è la migliore. Quando l’avrete trovata, vi
chiederete: perché è la più buona?
Ci deve essere una ragione.
Essa consiste nella composizione che dà l’idea esatta dell’oggetto, del
volto, della scena, dell’aneddoto, del bozzetto, mentre tutte le altre
avevano trascurato, per un verso o per l’altro, qualcosa.
Trovata la ragione, le regole della composizione sono elementari.
Naturalmente non bisogna adottarle in ogni circostanza.
Ma, così facendo, si prepara il terreno, lo si fertilizza.
Una esperienza diretta equivarrà alla lettura di un buon manuale fot.
Se un’esperienza del genere sarà fatta ogni volta per ogni lavoro,
avrete alla fine
• una somma non indifferente di nozioni estetiche,
• le più esatte,
• concrete e infallibili
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PILLOLA 4: Il documento in fotografia
Il documento non è la via più facile per fare della
buona fotografia, perché oggi lo si interpreta nelle maniere più
contraddittorie.
A parte il fatto che “va di moda”, e quindi come tutte le mode finisce
con l’assumere gli aspetti più appariscenti e grossolani, il documento
(in fotografia) si presta a mille definizioni.
Tendenze politico-estetiche di preciso indirizzo lo hanno assunto
addirittura a forma pressoché perfetta del bello in arte.
Noi crediamo che non basti fare del “reportage”, anche acuto, anche
incisivo, per arrivare alla dimensione della vera o della grande
fotografia.
E’ pur vero che chi intende mettersi davanti alla realtà con intenti
documentaristici, deve ragionare diversamente da quello che esegue una
foto di gusto tradizionale o contemplativo.
• Occorre avere una “conoscenza diretta della realtà”.
• Occorre possedere “un’idea propria” di quella realtà.
Se un reporter, ad es., è inviato in Irak per riprendere scene di
guerriglia, deve partire armato già di un preciso scopo, che chiameremo
dialettico.
Se il reporter si basa sul mero effetto esteriore, finirà col produrre
immagini affascinanti che, nel tempo, non sapranno resistere.
• Occorre saper “scegliere” quella che è la vera vocazione del
fotografo. Non ci si può mettere e fare del documento solo perché i
tempi richiedono tale forma espressiva e narrativa.
Se il fotografo è portato a fare esclusivamente dei ritratti, ha il
dovere di dedicarsi soltanto a tale genere di fotografia.
Un fotografo non deve sentirsi prigioniero di un credo estetico, che,
con gli anni, sarà soppiantato da altre tendenze.
E’ ovvio che i tempi in cui viviamo scelgano il documento come la via
più facile per arrivare alla definizione dell’uomo.
Ma l’uomo può essere studiato attraverso mille altre forme espressive.
Il “documento” è soltanto “una faccia della poliedrica realtà”.
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PILLOLA 5: Il documento interpretato in fotografia
Va distinto il documento realistico dal “documento
fine a se stesso”, senza alcun intento di interpretazione e di
storicizzazione della realtà.
Portiamo un es. facile: uno scrittore, trovandosi di fronte ad un
avvenimento sensazionale – delitto, scena di violenza, guerra, ecc. – e
dovendolo raccontare, adotta la sua forma, il suo tono, cioè mette la
sua personalità e il suo linguaggio al servizio del racconto. Avremo,
quindi, racconti di Pasolini, Moravia, Soldati, Pratolini e via dicendo.
Un fotografo può trovarsi davanti allo stesso avvenimento, insieme a
venti altri fotografi. Alla resa dei conti, avremo venti racconti -
servizi e reportage – differenti l’uno dall’altro.
Si tratterà poi di vedere quale il servizio è migliore.
Per “migliore” bisognerà intendere quello che ha colto, nella forma più
chiara e incisiva, il “significato” di quel determinato avvenimento.
La bellezza formale deve andare unita a un senso storico-dialettico dei
fatti di grande pertinenza narrativa. Forma e contenuto, devono formare
– come in ogni genere d’arte – un tutto unico.
Si pensi all’interpretazione di Boubat el nostro Sud, a quella foto che
racchiude un mondo e un ambiente: la vecchia nonna ammalata, con accanto
i parenti e, sul letto, la nipotina venuta a trovarla. Fotografia molto
umana e acutamente introspettiva… Si pensi alla Sicilia, durante la
guerra, di Robert Capa: la vecchia che si aggira tra le macerie di una
casa (la sua, molto probabilmente) bombardata: incredula, sgomenta,
davanti a una tragedia che credeva impossibile…
• Qui, non esistono regole fisse.
• Qui bisogna ricorrere al cuore, all’umanità, alla ricchezza interiore,
che è presente in ogni fotografo.
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PILLOLA 6: Il realismo fotografico
Esiste una diffusa, profonda, incomprensione – fatte
le dovute eccezioni – del problema “realismo in fotografia”.
Tutti sanno che non basta riprendere la realtà, così com’è, per fare del
realismo.
A parte il fatto che la realtà così com’è non è mai possibile
riprenderla. L’immagine e il processo di stampa offrono già una
deformazione e una differenziazione della realtà stessa.
La foto di una seggiola non è una seggiola.
Allora cosa si intende per realismo?
Più volte si è affermato che il realismo è l’interpretazione di un fatto
reale, secondo un dipanarsi di fatti e situazioni consequenziali e
determinanti.
Il pittore Guttuso ha fatto del buon realismo, non perché ha dipinto
contadini, minatori e zolfatori, ma perché li ha dipinti in quella sua
maniera personale, capace di rendere molto bene – in forme originali –
la condizione umana di quegli uomini, il mondo in cui hanno vissuto,
l’avvenire per cui hanno lottato.
Per tornare alla fotografia, al realismo in fotografia, non è detto che
se fotografiamo la folla in un giorno di carnevale – o durante uno
sciopero – si faccia del realismo.
Daremo dei bozzetti, dei gradevoli aneddoti, ma non sempre arriveremo al
significato vero del realismo, cioè dell’interpretazione dialettica, in
termini d’arte, di quei fatti che abbiamo registrato con la nostra
fotocamera.
Per i giovani fotografi, la strada del realismo è senz’altro la più
affascinante, ma anche la più difficile.
Se arrivano sino in fondo, daranno sicuramente documenti utili,
soprattutto dal punto di vista umano. Dimostreranno di saper credere
ancora in qualcosa, di avere fede e speranza.
Il nostro consiglio è questo:
imparare a guardare il mondo con onestà e senza preconcetti.
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PILLOLA 7: Il racconto fotografico
Il racconto per immagini oggi attira molta parte dei
fotografi, italiani e stranieri.
Si è capito – al momento giusto – che la singola immagine è un genere in
cui tutti, con pazienza e applicazione, possono riuscire.
Ed essendo, la fotografia, ormai entrata nel novero delle altre arti, si
cerca di dare alle sue espressioni un tono più compiuto, meno marginale
e, in effetti, meno popolare.
La pubblicità, la vita moderna in tutti i suoi aspetti di divulgazione,
ricorrono alla fotografia come ad un’arma potentissima di diffusione
“spettacolare”.
Il realismo fotografico si snoda a suo agio nell’ambito del racconto,
• sia ubbidendo alle regole tradizionali – dell’impaginazione, del
taglio delle immagini, del ritmo stesso dei suoi contrappunti –
• sia quando viene attuato in piena libertà espressiva.
“Un paese” di Paul Strand e Cesare Zavattini è un racconto tradizionale,
che parte da un intento illustrativo per poi arrivare, attraverso la sua
forza espressiva, ad una acuta dimensione umana.
“New York” di William Klein e “Milano” di Mario Carrieri sono racconti
“nuovi”, nel senso che aggrediscono la realtà con linguaggio differente.
Tale linguaggio deriva da modelli espressionistici della “fotografia
soggettiva”, e, passando attraverso vie mediate e riflesse, finisce con
l’interpretare originalmente le città sulle quali i due fotografi hanno
posto la loro attenzione.
Ma intendiamoci, non è che Klein e Carrieri siano da considerare dei
fotografi originali solo perché hanno adottato delle novità formali, ma
perché si sono posti con intenti nuovi di fronte a una determinata
realtà.
Un giovane, alle prime armi, vedendo l’opera di Klein e di Carrieri
penserà forse:
…se è vero che “sbagliando” alcune decine di fotografie si può fare un
bel libro, elogiato dalla critica e apprezzato dagli intenditori, allora
mi ci metto anch’io.
No, non è proprio il caso di mettersi a sbagliare a bella posta:
…se sotto non c’è qualcosa di, non c’è verità da dire, allora si finisce
con l’essere gratuiti e insinceri.
Gratuiti e insinceri come i “vecchi”, come coloro che seguitano a
fotografare – per diletto – le “madonne malinconia” e i “gerani alla
finestra”; e parlano di poesia, di cuore ispirato e di vocazione
fotografica.
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PILLOLA 8: Il processo della visione
Nel nostro divagare su possibile ”modo” di
documentare, o di interpretare (mediante il nostro apparecchio
fotografico) la realtà, non dobbiamo dimenticare l’importanza che in
questa operazione assume il “processo della visione”.
Il processo della visione è anche un processo di organizzazione dei vari
“segni” percepiti dal nostro occhio.
Volumi, linee, colori, macchie di luce e ombra, registrate dall’occhio
vengono inviati al cervello, che provvede ad elaborarli e organizzarli
in immagini da confrontare con quelle che ha in memoria, in modo da
poterle riconoscere.
Tutto questo avviene secondo schemi precisi dovuti in parte
all’apprendimento, in parte alle caratteristiche proprie della specie.
Quando guardiamo un oggetto, un disegno, un volto umano a distanza
ravvicinata, non ci fissiamo mai su uno stesso punto.
Con uno strumento speciale (eye marker) è possibile registrare i
movimenti oculari.
Fissando per tre minuti, la fotografia di un ritratto, i nostri occhi
percorreranno incessantemente i suoi lineamenti, soffermandosi sugli
occhi e sulla bocca.
L’attenzione è riservata a queste due parti, poiché sono generalmente
queste a comunicarci i messaggi della persona che ci sta davanti.
L’occhio del nostro gatto vede le stesse cose che vede il nostro occhio,
eppure organizza queste informazioni, cioè crea immagini, certamente
diverse da quelle che crea il nostro cervello.
Il nostro gatto non conosce la storia dell’arte, né guarda i giornali
illustrati. Perciò, tanto per fare un esempio, la prospettiva secondo la
quale la specie umana e la cultura occidentale costruiscono le immagini,
gli è sconosciuta.
La sua visione prospettica è certo un’altra. Come diversa, da cultura a
cultura, da periodo storico a periodo storico, è stata ed è la
prospettiva adottata dagli essere umani nel disegnare, dipingere,
fotografare.
Esiste un “modo proprio” (a ciascuna specie animale), di percepire lo
spazio, e quindi di organizzare in un’immagine i segni che lo
caratterizzano.
Questo ha fatto pensare che esistano delle preferenze innate verso un
modo di comporre l’immagine, piuttosto che verso un altro.
Da questo deriverebbe in parte il concetto di armonia e disarmonia, di
compiuto e incompiuto.
Spesso si rincorre un’armonia che fa della ricerca del bello il suo
cavallo di battaglia.
• Ma cos’è la bellezza?
• E nelle immagini fotografiche dobbiamo sempre trovare la bellezza?
• Si deve scegliere fra un ideale di bellezza (mutabile nel tempo) o il
realismo? O le due cose coincidono?
• Oppure vanno proposte immagini che esprimono le tangibili angosce
dell’autore, le sue paure, i suoi dubbi?
Interrogativi bisognosi di risposte.
Molto spesso, anche se inconsciamente, nel costruire le immagini, il
fotografo esprime se stesso o riveste i panni di cronista del tempo.
Dalla ricerca scientifica, il nostro cervello tenderebbe ad organizzare
in forme semplici i segnali che giungono ai nostri occhi,
indipendentemente dalla reale qualità dei segni.
Fisiologia e psicologia della visione determinano il “modo” in cui
vediamo il mondo che ci circonda. Dagli studi fatti sull’argomento
derivano i suggerimenti per ben costruire un’immagine.
Il fotografo non è tenuto ad essere nè psicologo, nè fisiologo, però è
bene conosca alcuni concetti fondamentali.
La composizione fotografica, così come quella di un dipinto, non è una
semplice esercitazione accademica, ma risponde a precise esigenze.
Da sole, come le “regole” della composizione non garantiscono la
riuscita di un pittore, oppure di un fotografo, così neppure la
conoscenza della grammatica e della sintassi garantiscono la riuscita di
uno scrittore.
Però è anche certo che un “fotografo” che non sappia comporre in maniera
efficace le sue fotografie, o uno scrittore sgrammaticato, non possono
aspirare al successo.
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PILLOLA 9: L’occhio e la fotocamera
Ci eravamo lasciati, in una delle chiacchierate
precedenti, con la convinzione che il fotografo è un soggetto capace di
vedere ed interpretare efficacemente, con la propria fotocamera, ciò che
maggiormente ha attirato la sua attenzione. Se fosse sufficiente
applicare qualche buona regola, per essere buoni fotografi, tutti lo
sarebbero.
Ma, in realtà non sempre accade. Perché?
La macchina fotografica, a differenza del nostro occhio e della nostra
abitudine a selezionare e organizzare gli elementi della realtà che
osserviamo, registra tutto quanto le sta davanti.
Per questo i neo-fotografi scoprono nelle loro immagini stampate tanti
particolari che, al momento della ripresa, proprio non avevano visto.
Per lo più si tratta di particolari che danno fastidio:
quel ramo che spunta proprio dietro la testa dell’amica (fidanzata,
moglie o amante) ritratta durante una gita; quei brutti fili elettrici
che deturpano la bellezza di un paesaggio… Eppure c’erano anche quando
il fotografo aveva l’occhio nel mirino. Però non li aveva visti.
La spiegazione è semplice.
Se siamo particolarmente attirati da un elemento presente nella
inquadratura, tendiamo letteralmente a non vedere quanto gli sta
attorno. Nel caso dell’amica (fidanzata, moglie o amante) il fotografo
era, giustamente, più interessato a lei che alla buona riuscita della
fotografia.
Esempi come questo non mancano, se ci fermiamo un attimo a considerare
criticamente le fotografie.
E’ ormai risaputo questo specifico modo di vedere dell’occhio umano. Non
è affatto vero, come spesso si afferma, che esso corrisponda ad un
obiettivo da 50 o da 35 mm.
Nella visione non entrano in gioco solamente le leggi dell’ottica.
Le informazioni trasmesse dal sensore di luce che è l’occhio, vengono
corrette, integrate, interpretate dal cervello.
Quindi il nostro cervello può costruire immagini differenti, anche della
medesima scena ripresa dall’occhio.
Così accade che davanti ad un certo numero di persone sconosciute, il
nostro cervello vedrà solamente una massa indistinta di persone. Se
sappiamo che tra di esse c’è un amico, il cervello lo individuerà
facilmente e, in pratica, vedrà solamente lui.
La visione umana può essere imitata, con la fotografia, solamente
ricorrendo ad “artifici tecnici”.
Questi possono essere la composizione dell’immagine secondo determinate
“regole” dettate, come abbiamo già avuto modo di evidenziare in
precedenza, sia dalla natura che dalla cultura.
Sono artifici tecnici l’uso appropriato della messa a fuoco selettiva,
il mosso, la profondità di campo, la prospettiva offerta dalle varie
lunghezze focali, il tono della stampa, la scelta dei colori.
Dagli studi fatti sulla percezione (Gestalt) sappiamo che il cervello
tende ad organizzare, secondo disposizioni geometriche semplici, i vari
punti di un soggetto.
Tutti concordano nell’affermare che una immagine ben composta si impone
all’attenzione più e meglio di una composta male. Il punto è proprio
questo: composta male o bene.
Continuiamo ad osservare le fotografie altrui, esercizio indispensabile
(assieme alla lettura) se vogliamo migliorare le nostre. Osserviamo come
lo stesso avvenimento, o soggetto, ripreso contemporaneamente da più
fotografi (vedi workshop) fornirà immagini molto diverse tra loro..
Alcune interpretazioni piaceranno, e altre no; alcune ci sembreranno ben
fatte mentre altre ci sembreranno fatte male. Merito di chi, e perché?
Merito, o colpa, anche della composizione e del modo di vedere
quell’avvenimento o quel soggetto.
La soluzione sta proprio nell’uso di quegli “artifici tecnici” che,
usati in modo appropriato, rendono più o meno interessante un
avvenimento, o un soggetto, ripreso contemporaneamente da più fotografi.
Naturalmente sia il “modo di vedere”, sia il “modo di comporre” , deve
essere coerente con il soggetto e, soprattutto, non deve essere un
semplice gioco accademico.
Altrimenti aggiungerà solamente noia ad altra noia.
Ma questo sicuramente non è il vostro caso.
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CALEIDOSCOPIO breve guida alle definizioni celebri della fotografia
Ansel Adams
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“ ... il negativo è la partitura, la stampa è l’esecuzione ...”.
Bill Brandt
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Un buon ritratto, pittorico o fotografico, deve avere una profonda
somiglianza, la somiglianza di un oracolo che predice il futuro del
soggetto nello stesso tempo che dice qualcosa del suo passato”.
Henri Cartier Bresson
(prefazione a "Image à la Sauvette" Ed. Verve. Parigi 1952).
"Perché un soggetto esprima tutta la sua intensità, i rapporti di forma
devono essere rigorosamente stabiliti. Si deve posizionare la macchina
fotografica nello spazio, e là comincia la grande questione della
composizione.
La fotografia è per me il riconoscimento nella realtà: d'un ritmo di
superficie, di linee e di valori tonali; ...La composizione è una
coalizione simultanea, il coordinamento organico di elementi visuali".
Bob Capa
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Se le vostre fotografie non vi soddisfano vuol dire che non vi siete
avvicinati abbastanza”.
Gillo Dorfles
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Per opera di alcuni fotografi la fotografia è ormai diventata un’arte
visuale come le altre, cioè ha raggiunto quel livello di maturità per
cui il fatto tecnico viene superato dal fatto estetico”.
Andreas Feininger
da Progresso Fotografico - gennaio 1972 pag. 27
“Un fotografo ha determinati scopi: riferire, divertire, trasmettere uno
stato d’animo, ispirare.
Per far ciò, deve avere un sentimento per il suo soggetto.
Nessuno può fare opera ispirata senza genuino interesse per il suo
soggetto e senza comprensione delle sue caratteristiche.
Fate a voi stessi queste domande, più d’ogni altra importanti:
- Perchè voglio prendere questa fotografia ?
- Che cosa voglio effettivamente dire ?
- Quale qualità mi impone di più ?
- Come posso registrarla meglio sulla pellicola ?
- Che cosa potrà ricavare qualcun altro da una simile fotografia ?
Quindi tentate di mettere nella vostra immagine quello che sentite, e
quello che volete che qualcun altro senta quando contempla il vostro
lavoro”.
Helmut Gernsheim
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Nelle mani del vero fotografo, la macchina fotografica è un’arma; in
virtù del suo realismo la fotografia può portare l’emozione umana ad un
grado a cui nessuna altra arte grafica può aspirare”.
“La fotografia è il solo linguaggio compreso in tutte le parti del
mondo, comune a tutte le nazioni e a tutte le colture. Nessun mezzo
creativo adempie a un compito così importante e offre possibilità così
ampie come la fotografia ed i suoi derivati: il cinema e la
televisione”.
Ernst Haas
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Ciò che vediamo è ciò che siamo”.
Robert De Lasizeranne
(famoso estetologo francese), esclamava attorno al 1900 :
(Alfredo De Paz "L'immagine fotografica" Ed. CLUEB Bologna)
"La fotografia ha superato le promesse della scienza; essa ci aveva
promesso solo la verità e ci ha dato la bellezza".
Moholy-Nagy
"Moholy-Nagy la sperimentazione totale" - Ed. Longanesi.
(Moholy-Nagy 1895-1946 Ungherese, pittore, fotografo, designer. Ha
operato a Vienna, Germania nel Bauhaus, U.S.A.)
Una bellezza riconosciuta nella terra lavorata dall'uomo, e comunicata
attraverso la fotografia come una risposta a quel "bisogno
socio-biologico" di esprimersi che l'uomo deve soddisfare, oltre al
nutrimento, per vivere.
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“L’ignorante del futuro sarà colui che non sa fotografare”.
Gordon Parks
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“La fotografia resta sempre per me una realtà magica; l’immagine
bloccata, rapita ad un istante vitale, decisivo e che ci unisce in modo
permanente col passato. Il fatto di essere in grado domani di rivedere
l’oggi, l’ieri di sempre, è più denso di significati di quanto noi
possiamo immaginare”.
Pablo Picasso
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Ogni fotografo è un pittore mancato o un pittore potenziale”.
Tristan Tzara
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Quando tutto ciò che si definiva arte risultò vuoto, il fotografo
accese la sua lampada”.
Edward Weston
da Progresso Fotografico - nov. 1971 pag. 40
“Quelli che dicono che il colore soppianterà il bianconero dicono delle
sciocchezze.
I due non sono antagonisti e neppure complementari.
Sono mezzi diversi per scopi diversi”.
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